Sembra che nel 2050 le fonti rinnovabili copriranno solo il 50% del fabbisogno globale: nel pianeta è in progressivo aumento la popolazione, e nei paesi in via di sviluppo anche solo il bagliore del benessere alimenta l’aspirazione a uno stile di vita basato su prodotti che mangiano energia. E’ ancora presto per sognare un mondo che gira soltanto tra sole e vento? In molti ne sono convinti, e puntano sull’idrogeno come forte alleato della transizione energetica. Ma che sia verde, derivato da turbine e pannelli solari.
Bello ma costoso
È il primo elemento del tavolo periodico, il più leggero. L’ingrediente principale delle stelle, l’idrogeno sulla Terra è molto abbondante ma non allo stato libero, e la fonte più immediata da cui ricavarlo è l’acqua, tramite l’elettrolizzatore, strumento che, come si evince dal nome, ha bisogno per funzionare di carica. Che proviene da combustibili fossili, produce idrogeno grigio, blu se si immagazzina la CO2 durante il processo, e verde se entra in gioco l’energia senza emissioni di gas serra.
Nuovo orizzonte energetico? Costerà meno. Finora a demotivare gli investimenti sull’idrogeno verde è stato soprattutto il prezzo di mercato, ancora troppo poco competitivo rispetto a quello del petrolio. Il team di ingegneri dell’australia Isatina si è adoperato per creare un elettrolizzatore più semplificato e quindi più efficiente, che consumandone meno può far abbassare il prezzo dell’idrogeno verde a 1,5 dollari al barile (rispetto agli 8 dollari in alcuni stati), e attenuare anche la preoccupazione di non Riuscire ad accumulare la quantità necessaria di energia pulita. Ora la Cina sta vendendo nel mondo gli elettrolizzatori più economici, ma non per questo più efficienti, con il rischio di conquistare il primato, insieme a quello del fotovoltaico, anche della filiera dell’idrogeno.
10 milioni di tonnellate di idrogeno verde all’anno entro il fatidico 2030: è l’obiettivo dell’UE. Germania, Olanda e Regno Unito sono i primi stati in Europa ad investire nell’idrogeno verde, nel mondo Australia e Giappone. Proprio nel paese del Sol Levante è in cantiere Città tessuta la città tutta a idrogeno verde, che Toyota sta edificando ai piedi del monte Fuji per 2000 abitanti ha invitato a sperimentare una mobilità green quasi fantascientifica in cui ci saranno strade separate per la logistica urbana, i pedoni e il trasporto personale, mentre le consegne commerciali viaggeranno su un quarto percorso sotterraneo.
L’entusiasmo per l’H2 verde è invece più debole nei paesi dove le fonti rinnovabili locali, come ad esempio l’eolico in Danimarca, riescono a coprire una percentuale elevata del fabbisogno energetico nazionale.
Verdi vallate anche in Italia
E proprio in Italia il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha stanziato con il PNRR un investimento di 500 milioni di euro per la realizzazione entro il 2026 di almeno dieci progetti di produzione di idrogeno verde in aree industriali dismesse: con il bando di fine gennaio ha chiamato all’appello tutte le Regioni, anche se le speranze sono concentrate soprattutto nel Sud Italia, dove si intende rilanciare l’economia locale. Come in Puglia, dove, oltre a Brindisi e Cerignola (provincia di Foggia), è prevista l’installazione di un elettrolizzatore a servizio dell’acciaieria ex-Ilva di Taranto.
Le “valli dell’idrogeno” italiane sorgeranno preventivamente nei pressi dei forti consumatori, le industrie del cosiddetto settore “hard-to abate”, quello più difficile da decarbonizzare, ossia le raffinerie, le aziende chimiche e le acciaierie (l’Italia è il secondo produttore europeo di acciaio dopo la Germania), oppure nei pressi dei cantieri navali, ma anche laddove sono già presenti le infrastrutture per il trasporto, i punti di snodo dei vari gasdotti che al posto del metano possono convogliare l’idrogeno verde in tutto il paese e nel continente.
Le apparecchiature per la produzione di idrogeno grazie a FER (Fonti di Energia Rinnovabile) saranno installate nei distretti industriali “a riposo” ma già collegate alla rete elettrica. Il trasporto dell’idrogeno alle industrie locali avverrà su camion oppure sulle condotte esistenti, in miscela con il gas metano.
La strategia nazionale prevede l’attivazione di 5 GW di elettrolizzatori entro il 2030: per farli funzionare sarebbe necessaria una superficie immensa di eolico e fotovoltaico, che di fatto in Italia non abbiamo a disposizione (a meno che non si scelga di contaminare le distese di verde e di acqua limpida che rappresentano un valore ambientale e turistico!). E allora come dovremmo gestire la futura valle dell’idrogeno? Se saranno alimentati da energia pulita, questa non potrà essere prodotta in loco ma arriverà da lontano. E se la filiera si allunga, la sostenibilità diminuisce indiscutibilmente.
Mobilità all’idrogeno
È nel programma del MASE anche il settore trasporti: convertire all’idrogeno le linee ferroviarie più datate, che viaggiano ancora a diesel e con un elevato traffico passeggeri, in particolare dove l’elettrificazione dei treni non è facilmente realizzabile o competitiva. Problema: non esistono ancora stazioni di rifornimento di idrogeno per i treni. Servirà a sviluppare serbatoi sempre più efficienti e nel frattempo a promuovere l’idrogeno per i primi treni delle zone in cui sono già presenti o di imminente arrivo i distributori per i camion a lungo raggio. Gli autocarri, responsabili del 5/10% di rilascio di CO2, sono infatti al centro del progetto di decarbonizzazione nazionale. Ma al MASE stanno a cuore anche le automobili. Ancora per pochi autisti d’avanguardia, quelli che vanno all’idrogeno, ma che potrebbero aumentare grazie alla creazione di almeno 40 stazioni di rifornimento lungo le autostrade, vicino ai porti e in prossimità dei terminal logistici.). Attualmente in Italia sono due i distributori di idrogeno, uno Bolzano ea Mestre.
Nel mondo si sta allargando l’interesse per i veicoli a idrogeno verde: in Cina l’ex Ministro della Scienza e della Tecnologia Wan Ganng ne ha sollecitato la produzione, e molti casi automobilistici, come la britannica Riversimple o le giapponesi Hyundai, Honda e Toyota hanno adottato la stessa direzione. Rispetto alle auto elettriche, quelle a idrogeno verde sembrano più efficienti: l’elettricità viene prodotta direttamente a bordo del veicolo passando attraverso una cella a combustibile. Poiché l’idrogeno ha una densità molto elevata, contiene molta energia rispetto al suo peso, e garantisce maggiore autonomia anche con un serbatoio piccolo: più di 500 Km con un solo pieno, assicurano chimici ed ingegneri delle aziende coinvolte, rispetto ai 200 km delle auto elettriche.
Non solo quattro ruote: l’idrogeno verde potrebbe essere impiegato anche per le navi, come sta dimostrando Osservatore dell’energiacatamarano-laboratorio alimentato a idrogeno verde grazie alla combinazione di sole, vento e acqua salata, che dal 2017 sta sollevando i mari di tutto il pianeta per dimostrare che decarbonizzare si può: e anche se la strada sarà lunga, è rasserenante vedere una grande imbarcazione ormeggiata accanto ad un atollo delle Seychelles e pensare che non sta rovesciando CO2 sulla barriera corallina. E guardando sempre più in alto: la britannica-statunitense ZeroAvia prevede di far decollare entro il 2025 velivoli per 20 persone, a emissioni e impatto acustico zero. Mentre si potrà volare a idrogeno verde dal 2035 negli aeroporti, fra cui quello di Milano Malpensa, che hanno aderito al progetto OLGA ((hOListic & Green Airport), finanziato dall’UE. In questo caso sono gli aeroporti a diventare hydrogen valley dove si produce stoccaggi di idrogeno verde per uso alimentare gli aerei ma anche i mezzi di trasporto terrestri come le navette da pista.
A chi conviene davvero?
C’è chi nel potenziale dell’idrogeno ripone grandi speranze. Come Marco Alverà, ex Amministratore delegato di SNAM e co-fondatore di Zhero. Nel suo libro “Rivoluzione idrogeno” (Mondadori) definisce l’idrogeno verde “l’internet dell’energia”, grazie alla sua versatilità: si può produrre attraverso fonti diverse, può conservare il surplus di energia prodotto da eolico e fotovoltaico, può essere trasportato nei gasdotti già esistenti, può essere utilizzato come combustibile nell’industria pesante e nei trasporti. E rappresenta l’opportunità di ingresso dell’Africa nel Green Deal Europeo: se infatti in Europa non riusciamo ad ottenere abbastanza energia rinnovabile per ricavarne idrogeno verde, non potendo tappezzare di pannelli e pale eoliche tutti i nostri prati, colline e coste, possiamo delegare la produzione a chi dispone di grandi spazi atti ad ospitare titanici parchi solari ed eolici, come le praterie e i deserti di Africa e Asia, per poi veicolare l’idrogeno nei gasdotti che giungono nel nostro sud. Secondo Alverà, piuttosto che farlo in casa, potrebbe quindi risultare più conveniente acquistare l’idrogeno verde nei paesi che finora ci riforniscono di petrolio e gas. Scongiurando un disastro geopolitico: in un mondo in cui l’obiettivo è l’eliminazione delle emissioni, nei paesi extraeuropei che basano la loro economia sulla vendita di idrocarburi, dove lo sviluppo demografico corre veloce, potrebbero verificarsi, laddove già non sono in atto, rivoluzioni e grandi migrazioni. In sintesi i paesi asiatici e nord africani secondo Alverà dovrebbero sostituire subito almeno una percentuale di esportazione di petrolio e di gas con l’idrogeno verde, per poi convertirsi completamente alla vendita green. Utopia?
“L’illusione dell’idrogeno verde” è il rapporto stimolato dall’associazione Ricomune di Leonardo Setti, docente di energie rinnovabili presso l’Università di Bologna, e presidente del Centro per le Comunità Solari. Secondo Setti il programma delle hydrogen valley italiane non è assolutamente sostenibile, e non solo perché, non avendo lungo lo stivale un terreno abbastanza ampio da dedicare all’eolico e al fotovoltaico “…l’unica strategia possibile sarebbe quella di importare idrogeno verde in grandi quantità da Paesi che dovremmo colonizzare per produrre le rinnovabili necessarie, come Libia e Algeria, portandolo in Italia tramite idrogenodotti oppure da Cile e Marocco tramite navi e rigassificatori.”
Settimo va oltre: “L’idrogeno è il vettore verde dei petrolieri e non delle comunità energetiche.” Ossia: a conti fatti, l’idrogeno verde conviene solo alle multinazionali olio e gas che hanno bisogno di decarbonizzare il ciclo produttivo.
Ad esempio, i componenti dell’elettrolizzatore sono leghe di nichel, platino e palladio, rare e costose, e per produrre idrogeno occorre molta acqua: “Se si vuole fare 1000 km con un’auto elettrica a idrogeno, occorre almeno 80 litri di acqua distillata.”
E proprio per risparmiare sulle risorse idriche, soprattutto dove scarseggiano, il team del progetto Prometh2eus, con i fondi del MITE, sta studiando in Sardegna una tecnologia per ricavare idrogeno verde dall’acqua di mare. Sempre “…in una prospettiva di produzione di idrogeno verde su scala globale” precisa il responsabile del progetto Vittorio Tola, docente di ingegneria meccanica, chimica e dei materiali all’Università di Cagliari. Ossia, se e quando otterrà il ruolo di protagonista nella transizione energetica.