GERUSALEMME – Il freddo non è solo quello dei duemila metri e della neve attorno. A gelare le strette di mano e il fiato è la protesta dei riservisti che non hanno voluto presenziare alla visita di Benjamin Netanyahu salito sul monte Hermon e da lì guardare giù verso l’altro fronte, gli scontri quotidiani con l’Hezbollah libanese. I tornanti della strada non sono i più complicati tra quelli che il deve affrontare. Per la prima volta dall’inizio della guerra contro Hamas, dopo i massacri perpetrati dai terroristi il 7 ottobre, il primo ministro ha presentato un suo piano per il dopo conflittoha scritto in un documento quello che ha ripetuto in questi quasi cinque mesi.
Così ribadisce che Israele manterrà nel medio termine la libertà di azione militare dentro la StrisciUN; stabilirà una fascia cuscinetto anche sul confine con l’Egitto; l’amministrazione civile verrà affidata «a professionisti locali con capacità di gestione, questi funzionari non possono essere affiliati con Stati od organizzazioni che sostengono il terrorismo». Questa formula vuole escludere che il controllo dei 363 chilometri quadrati venga affidato all’Autorità palestinesein ogni caso neppure nominata nel testo: il premier continua ad accusare i vertici a Ramallah di incitamento alla violenza e di appoggiare gli estremisti.
A ogni curva del progetto si rischia il frontale con gli Stati Uniti e la comunità internazionale. Antony Blinken, il segretario di Stato, ammette di non averlo letto ma chiarisce subito: «Non vogliamo la rioccupazione di Gaza», gli israeliani si sono ritirati e hanno evacuato le colonie nel 2005, due anni dopo Hamas ha preso il potere con le armi e lo ha tolto al presidente Abu Mazen. A ogni curva cerca di evitare il frontale con gli ultrà messianici che si tengono stretti nella coalizione.
Insistete che il suo governo chiederà di smantellare l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi; la ricostruzione sarà possibile solo dopo la smilitarizzazione del territorio. Respinge le ipotesi di riconoscimento unilaterale – avanzate da Francia e Gran Bretagna – di uno Stato palestinese, allo stesso tempo lascia aperta la possibilità di negoziati, anche se è stato lui a congelarli – ormai ibernati dal 2014. Netanyahu ha presentato il documento – che i portavoce di Abu Mazen bollano come un «trucco per continuare l’occupazione» – nel giorno in cui i mediatori sono arrivati a Parigi per provare a rilanciare un’intesa per la liberazione degli ultimi ostaggi tenuti da Hamas e dagli altri gruppi in cambio di una pausa nei combattimenti assieme alla scarcerazione di 3000 detenuti palestinesi, secondo l’ultima richiesta dei fondamentalisti.