di Silvana Logozzo
In dieci anni, dal 2005 al 2015, oltre diecimila medici (10.104) hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero. Nello stesso periodo anche otto mila infermieri hanno fatto le valige e si sono trasferiti. Ai dati della Commissione europea e del Rapporto Eurispes-Enpam, si sommano quelli di Consulcesi group secondo cui ogni anno 1.500 laureati in Medicina vanno via per frequentare scuole di specializzazione. Un danno enorme se si tiene conto – come ha indicato il sindacato di categoria Anaao Assomed – che tra pensioni maturate con la Legge Fornero e l’applicazione di Quota 100, il Servizio sanitario nazionale perderà 70 mila camici bianchi, fino al 2023, sugli attuali 110mila. Secondo le tempi, tra soli sei anni, nel 2025, curarsi in ospedale sarà ancora più difficile, mancheranno infatti all’appello 16.500 specialisti. Non solo: il danno provocato dalla fuga all’estero è anche economico, perché la formazione costa allo Stato italiano 150 mila euro per ogni singolo medico. Chi prende lo stetoscopio e parte ha un’età che va dai 28 ai 39 anni, la meta principale è la Gran Bretagna, con il 33% di scelte, seguita dalla Svizzera con il 26%. I professionisti che espatriano sono per la maggior parte ortopedici, pediatri, ginecologi, anestesisti. La regione da cui emigrano di più è il Veneto, da dove proprio oggi il governatore Luca Zaia ha lanciato l’allarme: “Mancano 1.300 medici. Il motivo di questa situazione è una programmazione nazionale sbagliata, a partire dal numero chiuso nelle università, passando per la carenza di borse di specializzazione, il mancato utilizzo negli ospedali dei giovani specializzandi, l’assurdità di non poter trovare forme per trattenere chi va in pensione a 65 anni”, ha detto. I numeri insomma parlano chiaro, i medici in Italia sono sempre di meno, per chi resta in corsia aumentare la difficoltà e il superlavoro e di pari passo la voglia di andarsene. I motivi che inducono tanti professionisti a lasciare l’Italia li spiega Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi che, in partnership con l’Italian medical society of Great Britain (Imsogb), si occupa anche della formazione dei camici bianchi italiani nel Regno Unito. “Qui l’accesso alla professione è più meritocratico, le prospettive di carriera sono migliori e le retribuzioni sono molto più alte”, afferma. E ancora: “L’Italia si impegna nella formazione di eccellenti professionisti sanitari, spendendo ingenti somme di denaro e poi regala questo patrimonio agli altri”. Decine le testimonianze che ha raccolto in questi anni tra gli espatriati che ora vivono in Gran Bretagna. “Mi ha colpito la storia di due italiani che oggi lavorano in un famoso ospedale londinese”, racconta Tortorella, “sono di Roma e Milano, nelle loro città erano costretti ad arrangiarsi tra lavori sottopagati e periodi di inattività. A Londra si sono conosciuti, innamorati, hanno trovato lavoro e fatto carriera”. “Dicono che non tornerebbero in Italia neppure a parità di stipendio – concludono – e davvero non mi sento di biasimarli”. (ANSA).
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