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Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita

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Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita

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Comitato Scientifico Fondazione Cortile dei Gentili

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Proposte preliminari di legge italiana sulle decisioni di fine vita.

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Riepilogo. A differenza di altri paesi europei (ad esempio, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito), i tentativi dell’Italia di regolamentare le cure di fine vita si sono conclusi nel 2009 in uno scontro di opinioni che ha coinvolto filosofi laici e religiosi, giuristi esperti e politici. Radicato nel conflitto e ampiamente criticato dal punto di vista scientifico, morale e giuridico, un disegno di legge che tratta esclusivamente la questione delle direttive anticipate è rimasto inattivo al Senato dal 2009. L’assenza di una legislazione che affronti efficacemente le complessità delle cure di fine vita continua a creare difficoltà nelle UTI italiane, per medici, infermieri, pazienti e le loro famiglie. Per rispondere a questa esigenza, la Società Italiana di Anestesia, Analgesia e Terapia Intensiva (SIAARTI) e la Società Italiana di Cure Palliative (SICP), insieme al Dipartimento della Fondazione Cortile dei Gentili del Pontificio Consiglio della Cultura, fondata nel 2009 per promuovere il dialogo tra “credenti” e “non credenti” su questioni che hanno un impatto sulla società moderna, hanno ora redatto un documento di posizione condiviso che evidenzia i principi etici e legali che dovrebbero ispirare i futuri tentativi di fornire all’Italia leggi complete per regolamentare le cure di fine vita in Italia. Riportiamo il documento di posizione condiviso, presentato al Senato italiano il 17 settembre 2015.

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Le questioni relative al trattamento giuridico delle decisioni di fine vita possono essere risolte validamente solo nell’ambito di una disciplina d’insieme della relazione di cura che, sulla base dei principi di tutela della dignità, della libertà, della salute della persona, e in armonia con i dettami fondamentali della deontologia delle professioni sanitarie, stabilisca fini, criteri e limiti della terapia, prerogative del paziente e del medico, procedura capaci di assecondare e garantire la buona pratica clinica, assicurando a medici e pazienti un orizzonte di riferimento etico in una cornice di certezza del diritto.

L’approccio prescelto riguardo alle decisioni di fine vita è esclusivamente quello del limite ai trattamenti e della rimodulazione di cura in senso palliativo; rimanere quindi estranee alla presente proposta opzioni etiche e giuridiche di tipo eutanasico.

1. Relazione di cura e salute

1.1. La relazione di cura non può promuovere altro bene che la salute del paziente, intesa come il migliore stato di benessere fisico, psichico, relazionale conseguibile dalla persona curata nelle condizioni date.

1.2. Questo obiettivo non si definisce, nella situazione concreta, in ragione di soli criteri oggettivi suggeriti dalla medicina, ma necessariamente anche in ragione della specificità della persona curata e dunque, ove se ne abbia attendibile evidenza, della sua individualità fisica, psichica, morale, relazionale , di appartenenza e delle sue scelte consapevoli.

1.3. Ciò si riassume nel principio secondo cui scopo della relazione terapeutica e diritto del paziente è una cura benefica commisurata alla persona, ossia una cura appropriata; tale è una cura che soddisfi non solo i parametri di validità scientifica e deontologica (appropriatezza in senso clinico e proporzionalità secondo criteri oggettivi e soggettivi di onerosità e beneficio) ma l’esigenza di sintonia con il sentire del paziente in merito al proprio bene, perseguita nella pratica della consensualità e nel rispetto dell’identità della persona.

2. Proporzionalità della cura

2.1. La proporzionalità è requisito essenziale della cura e quindi della legittimità dei trattamenti. Il trattamento non proporzionato è dunque arbitrario ed illecito.

2.2. Il medico ha il dovere di non iniziare trattamenti che si prospettino come non proporzionati e di interromperli, rimodulando le cure, ove tali si rivelino in una fase successiva alla loro prima attuazione.

2.3. Il giudizio di proporzionalità include una valutazione del beneficio e della sofferenza relativi alla specifica persona curata e non può prescindere dall’ascolto del paziente, di chi lo affianca su sua richiesta (v. 4.2.) ovvero, in caso di incapacità, di chi è legittimato a rappresentarlo oa tutelarlo.

2.4. Il limite della proporzionalità vale anche nei casi di urgenza; se l’impulso del soccorso non consente un’adeguata valutazione della proporzionalità, questa va compiuta appena possibile, con le conseguenze di cui sopra.

3. Consensualità e rispetto dell’identità

3.1. La relazione terapeutica, in quanto diretta ad una cura appropriata, è essenzialmente consensuale e si caratterizza per il confronto e il concorso di due istanze, la competenza professionale del medico e l’interesse del paziente alla cura di sé.

3.2. La consensualità della relazione e delle decisioni va costruita e praticata come un processo che accompagna e sostanzia la relazione medico-paziente dalla diagnosi fino alle decisioni terapeutiche e alla loro attuazione; esso va progettato e condotto in modo commisurato alle condizioni del paziente, alla sua capacità e disponibilità ad acquisire informazioni, a valutare il proprio stato, a progettare il proprio futuro e ad assumere responsabilità di decisione; l’esercizio di autodeterminazione va assecondato e sostenuto, senza contrastare la scelta del paziente che vuole affidarsi a persona di fiducia o direttamente al medico stesso.

In questo senso particolare attenzione va rivolta alla condizione degli incapaci legali e delle persone non in grado o non pienamente in grado di concorrere alle decisioni, sia valorizzando le loro residue o parziali capacità, sia disciplinando il ruolo dei rappresentanti legali, del fiduciario (v. 4.2.) e dei familiari nel tutelare il diritto del paziente ad una cura appropriata.

Nel caso in cui il paziente, a causa delle sue condizioni fisiche e psichiche, e della fragilità che caratterizza le situazioni di acuta gravità e di fine vita, non sia in grado di prendere parte attiva alle decisioni terapeutiche né sia ​​validamente rappresentata o tutelato, e ove le sue volontà o preferenza non risultano dalla pianificazione condivisa di cura o dalle dichiarazioni anticipate, il medico orienterà le scelte terapeutiche secondo i criteri di appropriatezza/proporzionalità della cura; la valutazione di appropriatezza sarà riconsiderata appena possibile anche in relazione al pieno rispetto della volontà e dell’identità della persona.

3.3. Gli strumenti giuridici non possono limitarsi al modello della dichiarazione di consenso, ma devono essere adeguati a garantire e concretare il processo di costruzione del consenso, avvalorando giuridicamente le buone prassi già in atto.

3.4. Il rispetto dell’identità della persona curata si realizza anche attraverso il rispetto per le sue credenze, convinzioni e preferenze.

Assumono qui rilievo particolare tre strumenti:

4.1. Pianificazione condivisa di cura

4.1.1. La pianificazione condivisa di cura consente al medico ed al paziente che lo desideri di prevedere situazioni probabili o possibili ed ipotesi di trattamento preferite o rifiutate; garantisce quindi una proiezione al futuro del consenso che si estende, se il paziente lo richiede, anche oltre una sua perdita di capacità.

4.1.2. Essa va assunta a modello-base della consensualità ed offerta al paziente nelle relazioni di cura che non si esauriscano in singoli atti medici o in trattamenti usuali di scarso o modesto rilievo.

4.2.1. Completa e garantisce i diritti del paziente la possibilità di affidare la gestione della consensualità delle decisioni terapeutiche che lo riguardano, per la migliore tutela del proprio interesse, a persona di fiducia che lo affianchi sostenendolo nelle decisioni o, in caso di incapacità, lo rappresenta e lo tuteli nella relazione di cura.

4.2.2. Questa figura è essenziale anche al fine di disciplinare in modo adeguato la rilevanza delle dichiarazioni anticipate del paziente (v. sotto, 4.3.2.), e risponde a un dovere morale e sociale di solidarietà umana.

4.3. Dichiarazioni anticipate del paziente

4.3.1. Questo strumento completa la costruzione della consensualità della relazione di cura, garantisce il rispetto dell’identità del paziente, realizza nei limiti del possibile una eguaglianza di trattamento tra persone attualmente capaci e persone che non lo sono più.

Le dichiarazioni anticipate vanno dunque considerate come una opportunità e uno strumento di esercizio della consensualità nella relazione di cura, non come un onere per la persona; la loro struttura deve riflettere questa funzione, favorendo la libertà di giovarsi o non giovarsi dello strumento e, nel rispetto delle esigenze di certezza e dei principi della relazione di cura, la libertà di commisurare le dichiarazioni alle proprie esigenze e convinzioni.

4.3.2. Dichiarazioni rivolte al futuro in previsione di situazioni ipotetiche esigono una mediazione interpretativa, di attualizzazione e di concretizzazione, volta al fine del miglior rispetto delle convinzioni, delle preferenze e della volontà del dichiarante nella situazione dati, e affidata alla collaborazione tra il medico e un fiduciario nominato dal paziente (o in mancanza un amministratore di sostegno ad hoc), ricreando così la struttura propria della relazione di cura.

4.3.3. Questa impostazione consente: a) di dare rilievo non solo a dichiarazioni di volontà ma alla manifestazione di credenze, convinzioni, preferenze che caratterizzano l’identità della persona; b) di avvalorare forme private dotate di adeguate garanzie di certezza (come ad esempio la lettera autografa consegnata al medico o ad altra figura di garanzia) o forme di pratica clinica come la pianificazione condivisa di cura, la registrazione in cartella, la documentazione video, le manifestazioni assistite per i gravi disabili.

5.1. In questo contesto va collocato il problema del rifiuto di cura, che è da affermare come diritto del paziente in quanto rischio necessario della consensualità e prima ancora della appropriatezza della cura in relazione al beneficio percepito e cercato dal paziente, di cui questi è, se capace , ultimo interprete, anche là dove si tratti di cessare la lotta per il prolungamento della sopravvivenza interrompendo i trattamenti in atto e rimodulando le cure in senso palliativo.

5.2. Il rifiuto deve trovare posto all’interno della relazione di cura, in quanto: a) deve essere accompagnato da una informazione – appropriata e adeguata alle condizioni e alle capacità di comprensione del paziente – sulle terapie alternative e sulle conseguenze del rifiuto; b) deve essere garantito prevedendo il dovere del personale sanitario e della struttura di evitare l’abbandono terapeutico e di assicurare la rimodulazione dei trattamenti.

5.3. È possibile l’obiezione di coscienza del medico, quando l’interruzione delle cure, in particolare in ragione di un’eventuale condizione di dipendenza, esiga l’intervento del medico stesso. In questo caso il medico può sottrarsi agli atti conseguenti al rifiuto se contrari alle sue convinzioni, nel rispetto del dovere deontologico di assicurare la continuità delle cure e delle procedure di sostituzione a tal fine previsti.

6. Astensione dalle cure e interruzione delle cure dal punto di vista penale

Nei casi di rifiuto o di non proporzionalità delle cura l’astensione e l’interruzione sono condotte che adempiono ad un dovere deontologico e giuridico. Ne consegue l’esigenza irrinunciabile che il legislatore regoli con chiarezza le situazioni qui premurose, garantendo i cittadini nelle scelte di fine vita e assicurando ai medici la certezza che, agendo in conformità a tale dovere e secondo criteri di buona pratica clinica, non saranno soggetti a sanzione penale e civile.

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