Alle classifiche sulla libertà di stampa potete credere oppure no. Di sicuro c’è che il tasso di credibilità di suddette graduatorie, a sinistra, viaggia a targhe alterne. E insomma le cinque posizioni in meno nel report stilato annualmente da Reporter senza frontiere e pubblicato ieri sono sufficienti – oggi per gridare al «controllo capillare delle destre», alla repressione dietro a cui ci sarebbe la longa manus del governo. Sul banco degli imputati i progressisti trascinano anche il nostro editore e il caso-Agì. «L’acquisizione dell’agenzia da parte di un parlamentare della destra», il riferimento è ad Antonio Angelucci, «sarebbe un grave colpo al pluralismo», spara Anna Ascani. Poi le farneticazioni del grillino Pedullà: «La colpa è tutta di Angelucci». Quindi un florilegio di titoli sui siti della stampa d’area. Peccato che sarebbe bastato leggere davvero il rapporto Rsf, che recita: «Un membro della coalizione al governo sta cercando di acquisire la seconda più grande agenzia di stampa». Insomma, ammesso e non concesso che l’acquisizione determini una qualche forma di «compressione della libertà di stampa», l’acquisizione ad oggi resta un’ipotesi: come può aver influenzato sulle cinque posizioni perse? Dunque, i dati: a livello mondiale l’Italia per il “World Press Freedom Index” passa dal 41esimo posto al 46esimo. Giuseppe Conte ci sguazza e tromboneggia: «Al di là delle classifiche, tutti sappiamo che il diritto all’informazione libera è sempre più compromesso.
Fra editori impuri, leggi bavaglio per i giornalisti e concentrazioni nelle mani di pochi il rischio crescente è il dilagare del pensiero unico, ossequioso alle forze dominanti, con lo svuotamento del diritto di critica e il sopravvento di una propaganda mascherata da libera opinione».
I PRECEDENTI
Forse la situazione sembra critica. Peccato che poi si vada a spulciare la classifica anno per anno e si scopra che all’epoca dei governi Conte l’Italia oscillava tra il 41esimo ed il 46esimo posto. Eppure il presunto “avvocato del popolo” non imbastiva dichiarazioni terroristiche come quella di poco fa.
Ma c’è di più. Rsf nel 2019 (Conte premier) denunciava come «molti giornalisti italiani sono stati apertamente critici e insultati per il loro lavoro da rappresentanti politici, in particolare da alcuni membri del M5s, che non hanno esitato a chiamarli sciacalli senza valore e prostitute». Il riferimento era a Di Battistail grillino che più di tutti seguì il verbo di Beppe nella lotta contro noi «pennivendoli» (ve lo ricordate, era la fine del 2013, il «Giornalista del giorno»? La rubrica con cui, ogni giorno, il guitto ligure metteva alla berlina un cronista Ecco…).
Ma c’è ancor di più. Nel 2020 (Conte sempre premier) ancora Rsf ricordava come a Roma «alcuni giornalisti sono stati verbalmente e fisicamente attaccati da gruppi neofascisti e membri del M5s». Eppure, per Giuseppi, all’epoca non c’erano né rischi, né propaganda, né repressione.
Passiamo al 2022, Mario Draghi è a Palazzo Chigi da febbraio 2021, lo stesso Draghi che «se non ci fosse lei presidente del Consiglio saremmo proprio terrorizzati» (Barbara Fiammeri del Sole 24 Ore, conferenza stampa di fine anno 2021, diapositiva grottesca e indimenticabile). Bene, nel 2022 l’Italia crollò al 58esimo posto nella classifica della libertà d’informazione, 12 posizioni in meno rispetto alla versione precedente. Qualcuno si stracciò le vesti?
Nella rassegna delle oscillazioni riavvolgiamo il nastro fino al 2015 e al 2016, quando l’Italia si posizionò rispettivamente al 73esimo e al 77esimo posto. L’era della prima Matteo Renzicerto non un tiranno (o meglio, non ancora), e contro di lui si le soltantovò qualche timida voce: era già ostile a gran parte dell’intellighenzia progressista, ma non al punto di essere additato come potenziale dittatore (immaginate, per dire , cosa potrebbe scrivere oggi Repubblica su un ipotetico Renzi premier che ci traghetta nei bassifondi della classifica).
QUALE CREDIBILITÀ?
Per ultimo il 2017, da certi punti di vista il caso più interessante: Paolo Gentiloni è premier da dicembre dall’anno precedente e l’Italia risale posizioni fino al 52esimo posto. Si resta comunque piuttosto lontani dal 46esimo posto per il quale ieri è scattato il tiro al piccione contro Meloni. Eppure anche in quel caso nessuno – ma proprio nessuno – sembrava minacciare la libertà di stampa. Una classifica, in definitiva, la cui credibilità (perla sinistra) dipende univocamente dal bersaglio da impallinare. Mentre la credibilità (della sinistra) francamente sta a zero.